SCUOLA SUPERIORE MEDIATORI LINGUISTICI DI NAPOLI
Il mese di Settembre è già giunto al termine, ma sembra che sia passato solo un giorno da quando ho preso l’aereo per Porto per dare inizio a questa nuova avventura che è l’Erasmus. Non nascondo che i primi giorni sono stati un pó difficili, tra il cercare di capire come muoversi in città, al relazionarsi con gli altri studenti Erasmus, ma in meno di una settimana, ero già completamente innamorata della città. Purtroppo Vigo è una città che viene sottovalutata, visto che il nome non è tra i piú conosciuti in Spagna, ma in realtà ha molto da offrire ed ha una importanza a livello letterario e commerciale non indifferente. Ad esempio, per quanto riguarda il lato letterario, il porto di Vigo fa da scenario in un capitolo del libro “Ventimila leghe sotto i mari” di Jules Verne, e c’è anche una statua che ritrae lo scrittore situata al Porto.
In generale, la città è magnifica, ogni volta ti soprende, perchè si scoprono posti che non avevi mai visto prima, posti incredibili. Uno dei miei posti preferiti per ora è il Parco O Castro, che si trova a due minuti da casa mia. Piú che parco, direi che è una piccola collina, ed è molto faticoso arrivare in cima. Ma i tramonti che si vedono da lí, sono qualcosa di spettacolare, non sembrano reali, tanto belli che una foto non puó renderne neanche la metà della loro bellezza.
Un altro posto che offre dei tramonti allucinanti è senza dubbio la Playa di Samil. Fortunatamente, Settembre qui è stato un mese caldo, quindi ho avuto modo di andare in spiaggia durante i weekend. Spiaggia completamente diverse da quella a cui sono abituata a vedere: lunghissima, sabbia bianca, sottilissima, pochissimi scogli e non molto affollata. Mi fa strano pensare che abbia nuotato non in mare, ma oceano, e la differenza si nota, dalla temperatura dell’acqua al movimento delle onde. Ho passato davvero dei bellissimi momenti li, con altri studenti erasmus e con i miei coinquilini, ai quali sono già molto legata.
Tra le varie attività offerte dal gruppo ESN VIGO, tra cui i chat and tapas organizzati per far conoscere gli studenti Erasmus, ce ne sono stati due di grande importanza: la visita alle IslasCiès e il viaggio a Salamanca. La visita alle isole mi ha sconvolta in modo positivo, mi aspettavo tutt’altro dalle isole. Sapevo che fanno parte del patrimonio dell’UNESCO, ma non immaginavo il perchè. Onestamente, mi aspettavo di visitare un’isola come Ischia ad esempio, invece no, totalmente differenti. Sono un mix di spiaggia e montagne, boschi e fiumi, mai visto una cosa del genere. Il tempo non era dei migliori quando siamo andati in quanto c’era la nebbia, ma comunque hanno saputo stupirmi in egual modo. Anzi, forse la nebbia ha aggiunto un pizzico di magia e mistero a quel posto senza tempo.
“ ‘Cause nothing lasts forever, even cold November rain”
Ed è stata con questa frase della mia canzone preferita dei Guns n’ Roses che ho vissuto questo freddo mese. Un mese un po’ di alti e bassi, direi, che quasi sembrava non giungere mai al termine. Non nascondo che ho vissuti dei periodi un po’ “blue”, in cui la bruttissima aura della noia era fedele compagna durante tutti i weekend. Ho sentito fortemente la mancanza di quel calore familiare, del riunirsi tutti a tavola la domenica e di raccontare, il condividere insieme. Mi è sembrato strano, ma ho preferito molto di più i giorni lavorativi, in cui ho avuto molte cose a cui pensare, rispetto ad una domenica di totale nullafacenza. Nonostante questi piccoli momenti di discesa, sono comunque riuscita a trovare un qualcosa che mi facesse vedere la vita qui a Vigo con occhi diversi. Continuo a meravigliarmi per le piccole cose, ed una di esse, è il fatto che qui fa alba alle 8 passate. Mi è capitato molte volte di prendere il bus che era ancora buio, e di essere quindi testimone di un’alba ogni volta diversa, con colori che non esistono sulla tavolozza. Sembra una sciocchezza, ma ogni volta che vedevo un’alba, si riaccendeva in me la voglia di fare, quasi come se mi desse la carica per iniziare la giornata. Era diventata necessità.
Per quanto riguarda l’università, oramai mi sono completamente ambientata. Sono molto soddisfatta dei miei corsi, in particolare, sono molto affascinata dal corso di informatica. E’ interessante, non solo perché apprendo un aspetto, a me completamente ignoto, della traduzione, ma anche perché questo corso mi da modo di imparare alcuni termini pratici di questo ambito, il tutto in spagnolo ( o gallego anche). Da quando sono qui sto notando dei miglioramenti con la lingua spagnola allucinanti: ogni giorno imparo una parola nuova, o un modo di dire, tutto ciò grazie all’aiuto che mi offre la mia coinquilina spagnola. Ma una moneta ha pur sempre due facce: se da un lato il mio spagnolo sta avanzando molto, dall’altro, sento che il mio inglese, ma anche il mio italiano, sta prendendo una brutta piega. Penso che la causa di ciò sia il fatto che gli spagnoli parlano un inglese che è un qualcosa di allucinante, forse peggio di quello italiano: la loro grammatica, e in particolar modo, il loro accento, creano una confusione nella mia testa, e spesso, dubito di alcune cose che sono addirittura elementari. Per questo, cerco di parlare inglese sono con studenti Erasmus che non hanno questa strana cadenza, mista a strane costruzioni grammaticali. Evito, invece, di parlare l’italiano, se non strettamente necessario. Questo comporta alcuni “lapsus” di alcune parole, che, stranamente, mi vengono spontaneamente in spagnolo, e che invece in italiano, necessito di qualche secondo per dirle. Nello scherzo, i miei genitori dicono che quando torno, non sarò più capace di parlare italiano. Forse, non hanno tutti i torti!
Questo mese è l’apoteosi di quello che sarà dicembre, mese dedicato interamente agli esami “finali”. Per questo, ho deciso di focalizzarmi un po’ di più sullo studio, e lasciare un po’ in disparte gli eventi organizzati dall’ESN. Non è venuto a mancare però lo svago. Infatti, dopo aver sostenuto alcuni esami della “prova continua” (potremmo considerarla una sorta di prova intercorso), mi sono voluta regalare cinque giorni di totale riposo, e ho deciso di partire per Madrid. Devo dire che ero abbastanza eccitata, visto che stavo per andare a visitare la capitale della Spagna, che mi è sempre stata descritta come una città da visitare assolutamente, vista la sua grandezza e importanza storica. “La ciudad donde nunca se pone el sol”, diceva sempre la mia professoressa di spagnolo al liceo. Avevo in mente un’immagine completamente diversa da quella che mi sono trovata davanti nella realtà. Ma andiamo in ordine.
Non appena siamo atterrate, sono rimasta stupita dalla grandezza dell’aereoporto. D’altro canto, avrei dovuto aspettarmelo. Ma sono rimasta letteralmente a bocca aperta quando, in viaggio in bus per andare al nostro ostello, ho visto quella che penso sia la zona industriale di Madrid. C’erano tantissime luci, file di macchine interminabili, che si estendevano lungo chilometri e chilometri di autostrada. La magia continua quando il bus ci lascia a Plaza Cibeles, una delle piazze più importanti della città
La piazza mi ha lasciato di stucco, e non vedevo l’ora di andare a posare i bagagli in ostello per poter poi far un giro per questa città che si stava prospettando così bene. Purtroppo, durante il tragitto, mi accorgo che due ragazze rom ci stavano seguendo, e nonostante le avessi notate, una di loro è riuscita a mettermi le mani nella borsa. Dopo 10 secondi, un poliziotto in borghese ci ha fermate e ci ha chiesto di controllare se avessimo tutto nelle borse. Fortunatamente, non sono riuscite nel loro intento. Devo dire che questo episodio ci ha influenzato non poco riguardo la città. Mi ha fatto luce su una faccia di Madrid che non mi sarei mai aspettata: Madrid, una grande metropoli, affollata, industrializzata, con grattacieli e negozi infinitamente enormi, piena di venditori ambulanti e gruppi di compagnie turistiche che cercavano disperatamente qualcuno a cui raccontare la storia della città alla “modica” cifra di 80 euro. Un bel benvenuto, insomma.
Nonostante questo aspetto “newyorkese” della città, Madrid ha comunque molti spazi e molta storia da offrire. I luoghi che mi hanno fatto letteralmente sognare ad occhi aperti sono stati Il Palazzo Reale e il Parque del Retiro. Ovviamente, ho approfittato dello sconto Erasmus e ho visitato anche l’interno del Palazzo. Inutile dire che la bellezza delle sale mi ha lasciato di stucco. Era quella la parte di Madrid che ho sempre immaginato nella mia testa: regale, potente, fiera, maestosa, dorata. Una bellezza immensa.
Il Parque del Retiro offre dei paesaggi fiabeschi, quasi come se non appartenesse alla Madrid caotica e vivace della Gran Vía. Al parco si respirava un’aria di tranquillità, di serenità, ed è stato proprio lí che ho sentito l’essenza della vacanza, tra il fruscio delle foglie colorate d’autunno e l’azzurrino dell’acqua dell’Estanque. Quasi sembrava di essere in un quadro.
Ovviamente, non poteva mancare la visita al Museo del Prado, quel museo del quale tanto ne avevamo discusso in classe ai tempi del liceo. Ho sempre sentito parlare di Goya e del suo stile grottesco e cupo, di Velazquez e delle sue “Meninas”, e di tanti altri artisti che facevano da decorazione alle pagine del libro di letteratura spagnola. Ma quando me li sono ritrovati lì, a distanza di un metro neanche, con le misure originali e i colori così vivi, ho davvero capito dove risiedesse la grandezza e la importanza di cui se ne è sempre parlato. Sono rimasta per quasi un quarto d’ora a contemplare il famoso quadro di Goya “Los fusilamientos del 3 de Mayo” . Conoscevo quel quadro molto bene per averlo studiato al liceo, ma vedermelo lì davanti, mi ha provocato una strana sensazione. Non avevo fatto caso a molti particolari, che da una foto su un libro, non sono visibili. Mi sono letteralmente fermata lì a guardare ogni singolo angolo, alla ricerca di un dettaglio nuovo, e quando vedevo qualcosa che non avevo notato prima, mi fermavo, e iniziavo ad osservarlo con attenzione, quasi volessi fotografarlo nella mia mente. Per tutte le volte che sono stata ad un museo, questa è stata la prima volta in cui ho provato qualcosa guardando un quadro. E’ strano da spiegare.
Madrid è da capire, e penso sia una città da vedere più di una volta per capirla in fondo. Le cose sono due: o ti senti parti di essa, o sei un completo estraneo. Io mi sono sentita entrambe le cose, stranamente.
Di ritorno da Madrid, ho ritrovato Vigo tutta addobbata, pronta per affrontare il Natale. Già si respirava aria natalizia, il periodo più bello dell’anno sta per arrivare. E nonostante tutti i Grinch (di cui uno vive con me in casa) che odiano questa aria di eccentricità e felicità, io mi sono già immmersa in questa aria di festa, addobbando la mia camera con luci e decorazioni natalizie. Il prossimo step sarà quello di comprare un albero con i miei coinquilini e di organizzare un Secret Santa. Che Babbo Natale possa regalarmi un Dicembre da ricordare, pieno di gioia e di calore, che tanto mi è mancato durante Novembre.
Il mese di Dicembre è stato il mese dedicato alla magia, alla famiglia, al calore degli amici, ma anche allo stress degli ultimi esami e ultimi viaggi dell’anno. Definita dal nostro pazzo sindaco “la ciudad Top del Mundo”, Vigo ha conquistato un pezzo di cuore ancora più grande di quanto già ne avesse preso. Non smette mai di sorprendermi. Con l’arrivo del Natale, Vigo si è preparata per l’occasione: ogni singola strada era ricoperta di luci, senza lasciare un angolo al buio. Da vedere e rimanerne abbagliati, l’ albero di quasi 60 metri di altezza che ogni ora produce uno spettacolo di luci coordinato alla musica; un pacco regalo gigante che copre un parcheggio interno, e un pupazzo di neve al centro del parco, giù al porto. Per quanto per molti possa essere sembrato esagerato, perché effettivamente un pochino lo è, le decorazioni non possono non catturare le attenzioni di tutti, che ad occhi sbarrati, si lasciano incantare dai mille luccichii e sfumature colorate, diventando bambini per pochi secondi. E io, ovviamente, mi sono lasciata incantare da quell’aria natalizia che impregnava ogni angolo della città.
Dicembre è stato anche il mese dei primi “arrivederci”, cosa alla quale ho scoperto che non mi ci abituerò mai. Ho dovuto salutare il mio caro coinquilino francese Maxime, con il quale avevo legato molto. E’ stato difficile, anche perché è stata una partenza imprevista, e nessuno era pronto a salutarsi definitivamente. Non nego che, alla vista della sua camera vuota, ho sentito un senso di vuoto, quasi come se in quella casa mancasse un pezzo. Il tocco finale è stato leggere i messaggi che ci ha lasciato fuori alla porta prima di partire. Li, ho davvero realizzato che non è stato un addio, ma un arrivederci, perché persone così non possono scomparire all’improvviso dalla tua vita. E’ stato un toccasana in tutto, non lo dimenticherò mai. Da quel giorno, mi son resa conto che prima o poi dovrò salutare tutti i miei nuovi amici ..e non so se sarò pronta a farlo. Mi rattrista pensare che prima o poi dovrò lasciare questa pazza Vigo, la città in cui ho quasi piantato le radici considerandola “casa”, nella quale trovato una seconda famiglia sulla quale fare affidamento.
Con l’aria natalizia in giro, tutti noi ne abbiamo approfittato per ricreare l’atmosfera del calore familiare e della gioia dello stare insieme, nonostante fossimo tutti lontani dai nostri cari. Abbiamo iniziato a organizzare pranzi domenicali, tipici della mia tradizione italiana, riunendoci tutti in un appartamento, dove ognuno di noi cucinava una specialità tipica del suo paese. La cena più internazionale che abbia fatto è avvenuta qualche giorno prima di Natale. Avevamo deciso, prima che tutti noi partissimo, di organizzare una specie di cenone natalizio internazionale nel mio appartamento. Eravamo venti studenti, tutti provenienti da paesi diversi, rappresentati da piatti che avevo visto probabilmente nelle serie tv. Uno di questi, era il tacchino/anatra (non si è ancor ben capito cosa fosse) ripieno di frutta,posto al centro tavola, molto stile americano. O ancora, la famosa tortilla de patatas che ormai fa quasi parte della mia routine giornaliera, le “roasted potatoes” inglesi, che ho scoperto essere totalmente differenti dalle nostre semplici patate al forno, le “chimichangas” messicane accompagnate con salsa guacamole, della quale mi sono perdutamente innamorata. Non solo ho avuto modo di assaggiare piccoli piatti di altre culture, ma grazie a loro, ho sentito il calore di casa, della famiglia, cosa che stavo quasi dimenticando e che davvero sentivo più di tutto la mancanza. Sono davvero molto legata a tutti loro, ogni giorno mi sento sempre più fortunata ad averli incontrati. Tra sorrisi e chiacchiere, ho capito che voglio condividere con loro quanti più momenti possibili, fino all’ultimo giorno della mia permanenza a Vigo. Credo che questo, sarà uno dei miei propositi per l’anno nuovo.
Il mese di Gennaio è stato una montagna russa, tra i sorrisoni a 42 denti e i lacrimoni trattenuti. Con Gennaio, è arrivato quel momento che avrei voluto non arrivasse mai: las despedidas.
Come avevo già scritto in precedenza, non sono per nulla brava con i saluti, specialmente se ho la consapevolezza che la persona in questione andrà via, in una zona lontana dalla mia terra, senza sapere se un giorno ci rivedremo, oppure no. Non sai mai cosa dire, in certe occasioni. Così, ho deciso di vivere al massimo ogni singolo giorno di questo mese, che per molti miei amici, è stato l’ultimo. Non c’era giorno che non facessimo qualcosa. Un pomeriggio in spiaggia, uno al centro commerciale, una sera a pattinare, l’altra al cinema, l’altra ancora al ristorante brasiliano. Ce n’è stato per tutti i gusti. La cosa importante, tuttavia, non sono state le attività di per sé, ma la compagnia, le facce che mi stavano intorno. Se tutto quello è stato bello, è stato grazie a tutte quelle persone che hanno vissuto quei momenti insieme a me, che hanno riso, ballato, scherzato, e emozionati insieme a me. E vorrei ancora ringraziare i miei amici messicani, che tra il Caballo Dorado, le Chimichangas, Chalino Sanchez, ancora una volta, mi hanno regalato tanto, facendomi vivere al meglio l’essenza dell’Erasmus. Quello di Gennaio non è stato un addio, ma un arrivederci, l’ho capito dagli ultimi abbracci. Ci vediamo presto, chicos.
Visto che le lezioni riprendevano il 22, ho deciso di sfruttare a mio vantaggio tutto il tempo libero che avessi. Così, ho deciso di muovermi un pochino ,tra la Galizia e il Portogallo. Nella “mia” terra, ho avuto modo di visitare finalmente Santiago de Compostela, una cittadina molto piccina, ma ricca di storia e di bellezze naturali. Ho apprezzato molto il centro storico, non c’era quasi orma di modernità, era tutto ricoperto di pietra, intrinseco nella sua storia. Avevo grandi aspettative per la cattedrale, e devo dire, che se da un lato ho sentito il peso di tutta la storia che porta con se, dall’altro, l’architettura della cattedrale non mi ha stupito più di tanto. Nella cattedrale ho avuto modo di seguire uno dei “riti” della città, ossia abbracciare la statua dell’apostolo, posto in alto sull’altare. Nonostante non sia devota, ne tantomeno credente, ho deciso comunque di dargli una chance, spinta più che altro dalla curiosità. L’apostolo, era un busto, di neanche 50 cm, completamente ricoperto di pietre preziose, sorvegliato da un prete, che ogni volta che qualcuno abbracciasse l’apostolo, diceva una sorta di preghiera, di cui però, non ne ho buona memoria. A Santiago ho avuto finalmente modo di assaggiare il famoso “pulpo alla gallega”, piatto tradizionale della regione Galizia. A prescindere dal fatto che non sono un’amante del pesce, e in particolar modo del polpo, il piatto mi ha sbalordito, non credevo mi piacesse così tanto. Ho adorato molto la paprika, che da un tocco piccante, ma non tanto forte, che quasi sfocia sul dolce. E a proposito di dolci, non potevo non provare la “tarta de Santiago”, una torta con crema di mandorle, con una spruzzata di zucchero a velo, messo in modo tale da disegnare la croce di Santiago. Molto dolce per i miei gusti, forse un po’ troppo, ma senza dubbio, da provare.
Grazie al mio coinquilino che ha la macchina, ho avuto modo di visitare anche un po’ il Portogallo, aprendo ancora di più i miei orizzonti, che fino ad allora, si erano limitati alla meravigliosa Oporto. Il viaggio di quel wee-end è stato uno di quei viaggi dove non sai bene dove andare, quale sarà la destinazione finali. Ti metti lì, in macchina, e guidi, osservando il paesaggio dal finestrino, e quando hai voglia, ti fermi. Niente piani, niente regole, un po’ all’avventura direi. E l’avventura ci ha portati a Viana Do Castelo, una piccola cittadina, ma di una bellezza straordinaria. Ancora non ho capito se il mio è un amore incondizionato per il Portogallo, oppure davvero ogni città ha una bellezza spettacolare. Il mio coinquilino era già stato li, così mi ha fatto un po’ da Cicerone, e mi ha mostrato i luoghi principali, tra i quali il porto, la stazione, e la piazza comunale. Piccola, ma bella concentrata. A Viana ho avuto modo di provare ulteriormente la francesihna, piatto tipico portoghese, che avevo già provato a Oporto, ma che non mi aveva lasciato molto convinta. Quella di Viana mi ha fatto ricredere, 10 out of 10. Nel pomeriggio, siamo saliti su al Templo de Santa Luzia, un tempio che si trova in cima ad una montagna, dove si celebrano anche messe, ed è possibile salire sul campanile per ammirare “il panorama più bello del mondo”, come pubblicizzavano i cartelli. Ovviamente, decidiamo di salire su, in quel campanile tanto stretto, quasi faticavi a respirare, ma una volta arrivati in cima, lì si che ti si mozzava il fiato. Non ho idea a quanti metri d’altezza eravamo, ma era possibile vedere tutta la città, e anche oltre. Ammetto che forse, per quanto mi riguarda, non è stato il panorama più bello a livello mondiale, ma si che era impressionate. Osservando l’orizzonte da li, mi sono resa conto di quanto sia fortunata a vivere questa esperienza che è l’Erasmus. Tutte le difficoltà, i dubbi, lo stress, la malinconia, si sono annullate lassù, e hanno fatto posto alla serenità, alla gioia, alla soddisfazione. Li ho capito che non bisogna mai dare nulla per scontato. E con in sottofondo i Santana, termina così la scappatina che mi ha fatto riflettere e non pooo.
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